
C’è tanto. Tanto tanto nei miei viaggi.
Tanto che certe sere vorresti non finissero mai e certe persone ti andrebbe di frequentarle più a lungo, perché percepisci quanto espandono il tuo livello di consapevolezza anche solo con poche parole. Perfino certe birre ti accorgi che è un peccato vederle finire, non per la loro bontà ma per la bontà della compagnia con cui le consumi.
Oppure perché incontri antropologi che indagano nei tuoi riti apotropaici che neppure sapevi d’avere, mentre continuano a fare i direttori di musei piccoli ma importanti. O rivedi i presidenti della tua associazione, o scopri il valore di vicepresidenti di altre associazioni o scambi il tuo libro con il libro di un mito dei tuoi programmi radio preferiti.
Ancora, ascolti le voci di donne (straordinarie e folli) che hanno imparato a memoria pagine e pagine del tuo libro e lo portano in giro, fra piazze, bar, case e città come fosse normale: vagabonde all’esterno e biblioteche dentro.
È questo girare, ma è anche dare finalmente un volto a quelle che per lungo tempo sono state solo magnifiche voci, tanto che ti piacerebbe avere almeno il tempo di fissarle per bene in memoria, così da avere modo poi di non dimenticarle più.
E poi ci sono quegli altri volti che a distanza di tempo non riconosci e ti spiace fino quasi a sentirti stupido d’essere stato così impacciato e confuso da voler dire loro “riavvolgiamo il nastro da capo perché voglio abbracciarti in modo diverso… non avevo capito chi eri davvero!”. Sì, certo, ogni mancanza si giustifica con tutta quella stanchezza, quel freddo improvviso e la pioggia pazza di marzo che ti coglie a tradimento, con quel disorientamento che inevitabile ti avvolge quando per troppi giorni mangi e dormi in luoghi e letti che non sono i tuoi e incontri continuamente facce nuove, anche se belle.
Fa nulla, perché sempre viaggiando comprendi che dovresti disporre di un tempo infinito e ti accorgi che certi professori d’università, come il Domenico Bodega, per dire, che viene a presentare il tuo libro, andrebbero ascoltati per ore e ore, perché in una sola sera sanno farti scoprire quanto sia facile coniugare profondità di pensiero, interesse e poesia nel tuo testo, in una maniera tanto bella, che neppure ti importa più che si parli di te; e non manca neppure della gentilezza necessaria di accompagnarti alla soglia di uno splendido hotel, aiutandoti a portare un trolley che non va più.
E ancora solo viaggiando capita che ricevi, poco prima di pranzo, la telefonata inattesa da una ginecologa, incontrata per sbaglio a Taranto, che ti sorprende per la lucidità con cui ha letto il tuo libro e ti spiega con chiarezza la profondità di tutto quel che tu hai scritto. Tanto bene che puoi usarlo la sera stessa in una presentazione.
E solo viaggiando scopri famiglie (La Nostra Famiglia) che sono città, e persone che somigliano a monumenti per forza d’animo e tenacia (non importa che si chiamino Carla o Giovanni) e ti capita perfino, in una libreria in via Marghera, di trovare riunite, in una volta sola: Mariagrazia, Stefano (e suo figlio Andrea – che gioia di ragazzo!), Silvia, Simona e l’altra Simona, Mariavittoria, Martina, Simone, Manuela e tante altre splendide persone da riuscire a credere che Milano sia davvero una bella città… e capisci anche che fra loro ci sono amicizie che andrebbero coltivate e altre ancora che andrebbero costruite, perché darebbero una ricchezza infinita alla tua vita; perfino quelle persone che si limitano a organizzarti spostamenti e soggiorni, che non vedi e non senti per altro che quello, durante il viaggio intuisci che saprebbero darti un calore diverso se solo tu avessi tempo.
E ci sono poi quei ricercatori universitari che sono giornalisti e conosci solo come splendidi papà. Incontri poi persone «speciali» come Germana o appassionate come Anna Paola o Mario e ritrovi, a sorpresa, la commozione di psicologhe che per prime hanno filmato tuo figlio.
E se non sei attento (e io non lo sono quasi mai), se ti lasci andare… davvero poi non sai come mordere il freno a quella curiosità che ti spinge a sapere, non sai come poter arginare quello slancio che ti porta ad amarle tutte per tutto quell’amore che loro d’una maniera o di un’altra ti danno. Certo puoi dire grazie, mostrare la tua gratitudine, come tuo figlio ti ha insegnato a fare. Puoi scrivere un post… ma basta?
Tutto questo mentre continui a prender parte a iniziative incantevoli con quel Chicco, chiuso in un libro, ma che con te non c’è… e ti manca.
E allora quando torni vuoi credere, vuoi illuderti che tuo figlio possa bastare, che abbracciando lui, tu possa davvero abbracciarle tutte quante, perfino quelle che hai appena conosciuto, perfino quelle che hai solo sfiorato. Tutte davvero, inclusi quei papà che schiettamente, dal fondo della platea, ti hanno parlato con voci sincere e fuori dal coro. O quegli altri papà con cui hai solo incrociato lo sguardo, ma è bastato, e gli altri ancora, un poco più intraprendenti, con cui hai progettato contaminazioni fra il tuo e i loro blog.
E ci sono anche le mamme. Alcune che ti confidano pubblicamente (che forza d’animo!) che sono in cerca di papà che sono fuggiti. E tu, mosso da quell’onda di bene che ti accompagna, le incoraggi ripetendole che talvolta si fugge per poter ritornare e se poi non si torna semplicemente è perché non si merita quella meraviglia che la vita ha regalato.
Sì, viaggiare, incontrare è qualcosa di smisurato, per questo, tra uno spostamento e l’altro, ti capita a volte di ricordare, poco prima di scendere i gradini del treno, di quel personaggio di Baricco in Novecento, che alla fine rimane fermo, immobile sulla scaletta che lo separa dal Mondo. Troppe luci, troppa grandezza, troppa vita, troppa immensità. Non ce la fa a scendere e tu pur capendo quant’è sciocca quella scelta, quanto inutile quella paura, un po’ ti ci ritrovi.
Ma poi vinci ogni stanchezza, ogni paura. Scendi… come puoi rinunciare al Mondo che si compone davanti a te così ostinato, vasto e bello? Scendi pensando che presto tornerai ad abbracciare quel Chicco, che non smetti di portare con te, pur se con te non c’è.
E a ogni fermata, al momento di ogni saluto senti… non so come spiegarlo… senti salire una gioia immensa nel cuore, mentre allo stesso tempo, avverti una lama di malinconia che la incide, che ti dice che tutto (tutto tutto) non lo puoi avere. Bene. Fa niente, prendiamoci il tanto.
E buon rientro, papà.
Se basta un post? Basta, Dario, soprattutto quando è scritto con tanta emozione. La gratitudine è un sentimento che fa bene a chi lo prova, che ampia i cuori e alleggerisce le anime tanto da fargli prendere il volo. La birretta è piaciuta tanto anche a me, perché era carica di condivisione e pensieri belli. Conto che sia la prima di molte altre 😉
Sono molto grata anche io a tutti voi di quella serata ricca e piena, ti abbraccio.