
Un editore. È un’idea. Non mi convince, ma molte delle idee di Simona Sacchi che non mi convincono si sono rilevate illuminanti. Ci provo. Ma io so poco o nulla di editoria.
E poi non so se veramente voglio dare il mio anatroccolo in pasto agli altri. Ho già paura a volte a leggerlo io. Il problema mi sembra diventare enorme: non ho la minima idea di come iniziare a dare una qualunque risposta a una qualunque delle mie domande. Sorrido.
Perché a questo punto mi rendo conto che ho due vantaggi, forse tre.
Uno, so come affrontare problemi enormi e – due – so redigere piani di azione pressappoco impeccabili per affrontare problemi enormi. È il mio lavoro. Terzo: se ho un problema per quanto grande sia ho anche uno scopo: risolverlo. Così mi metto in moto.
La prima cosa da fare è scoprire come si arriva a un editore, verrà poi il problema di se fargli pubblicare o meno il mio anatroccolo. Bene, scopro che è semplice: occorre una persona del settore che ti presenti. Esiste perfino una professione che ti permette di arrivare a un editore con facilità, ed ha un nome piuttosto ovvio: editor.
La cosa complicata – scopro – è avere l’opportunità di incontrarlo. Già, trovare un modo per contattarlo appare un’impresa complessa e dai contorni indefiniti. Sopra ogni cosa scoraggiante nei tempi. L’editor è una specie di idraulico che ti dice – quando va bene – risentiamoci fra sei mesi. Il primo che trovo, dopo una serie di incroci e telefonate è Christian Soddu.
«Buongiorno sono Dario Fani… No, non ci conosciamo… Come? … Sì, certo. La richiamo alle 14.30… Buon lavoro»
«Christian Soddu? Salve sono Dario Fani… sì, ci siamo sentiti questa mattina. Sì… ecco, credo sia una cosa piuttosto semplice, ho scritto un testo… no, non so bene se sia un romanzo… penso di sì… ma guardi in buona sostanza vorrei capire se può valutarlo per presentarlo a… eh? Ah, ho capito. Va bene… fra tre mesi, va bene… sempre a questo numero? Ok. Buona giornata»
Trovo un altro numero e una altro nome e ci riprovo. Niente. Mi viene dato anche il telefono di Giulia Ichino della Mondadori. Un pezzo grosso. O è sbagliato il numero o lei è una vera streghetta che sa a chi e quando non rispondere. Al quinto tentativo rinuncio.
Tento con Manuela La Ferla, altro nome importante. Mi dà il numero un’amica di una amica preziosa. Si dice sia discreta, oltre che brava. Ma la risposta è simile a quella degli altri. La telefonata – dopo un primo risentimento – però la ricordo con piacere.
«Fani… Ma lei ha già pubblicato?»
«Come?»
«È uno scrittore?»
«No, sono un progettista.»
«Come ha avuto il mio numero?»
«Perché me lo chiede?»
«No, ecco… è che io tratto solo un certo tipo di autori…»
«Che tipo?»
«Scrittori… scrittori di un certo rilievo…»
«Ho capito… bene, io non volevo disturbarla… volevo solo… forse non so bene neppure io cosa volevo… ha ragione, non sono uno scrittore, ho solo messo su carta qualcosa che avevo nel cuore… qualcosa che…»
Avverte il mio imbarazzo. E capisco che è una donna delicata.
«Guardi faccia una cosa, visto che in una maniera o nell’altra mi ha trovata, mi mandi una email i primi di novembre, conto di leggerla e darle una risposta per l’inizio del nuovo anno. Va bene?»
«Sì, va bene» poi ci ripenso: «Mi scusi, ma che le devo scrivere nella email?»
«Come?»
«Nella email che le mando… che ci scrivo?»
«Non lo immagina?»
«No…», sento che sorride.
«Ci metta una sinossi e il primo capitolo, per me è sufficiente così. Poi casomai le chiedo il resto. Va bene?»
«Va bene», mentre dico così mi rendo conto che il mio testo non ha capitoli: è un lungo fiume di parole e non so cosa sia una sinossi.
«Allora a presto e buona fortuna.»
«Anche a lei.»
Attacchiamo. Non sarò uno scrittore, ma non sono un idiota. Sono un papà. E non me ne vergogno. La richiamo venti minuti dopo: appare sorpresa, ma le spiego esattamente e con la massima sincerità le mie difficoltà, a cominciare dalla “sinossi”. È facile essere sinceri e con le persone sincere: semplifica.
Comincia una lunga chiacchierata priva di ruoli, lei mi racconta perché è fuggita dai tempi industriali delle case editrici per tornare a fare nei tempi giusti e con amore un lavoro che ama e io le racconto del mio essere papà con un figlio in difficoltà e di quest’altra nuova difficoltà nel dover gestire l’anatroccolo che s’è infilato nella mia vita.
Lei mi rincuora e ci confidiamo con semplicità anche aspetti personali delle nostre vite. Le confesso che fare il papà di Francesco non è facile e talvolta è perfino fastidioso. Toglie energie. Capisce, sorride. Accoglie. Sempre senza giudizio.
Ci lasciamo dopo quasi tre ore e venti minuti di parole, convinti di avere moltissime affinità e altrettanto convinti che non avremo mai modo di sperimentarle insieme.
«Novembre mi sembra un mese lontanissimo, non la prenda a male se poi non le scrivo». Le dico con la massima onestà.
«Ne sarò sollevata», mi risponde lei con altrettanta onestà.
«È che mi sembrano tempi veramente biblici…»
«Sono i tempi editoriali. Forse lei non è adatto ai tempi editoriali…»
«Forse i tempi editoriali non sono adatti a me…»
Sorride. Poi diventa anche amichevole.
«Senta… lasci stare gli editor. Hanno già così tanti guai… provi con le agenzie letterarie. Ce ne sono di valide e forse sono più rapide è loro interesse trovare nuovi autori. Ma sia onesto, ne scelga una alla volta. Mandi il testo e non chiami per saper cosa ne pensano. Gli dia il tempo. Se è un testo buono vedrà che la chiamano loro. Mi creda, diversamente si rende solo antipatico»
«Agenzie letterarie» ripeto. È un’idea nuova e mi piace che possa essere più rapida. L’anatroccolo sento che scalpita.
«Grazie di cuore», aggiungo.
«Di cosa?»
«Di tutto», mi rimane così difficile spiegare alle persone che talvolta anche non ottenere nulla è un gran bel risultato.
Voglio dire per me lo è, e no… non lo spiego neanche a voi il perché. Ma è così.