
Ho fissato un incontro con una delle più importanti agenzie letterarie in Italia e nessuno oltre me e Mariavittoria Puccetti sa dell’esistenza del mio anatroccolo. Non mi sembra possibile. È perdente. Lo so che è perdente. Devo arrivare all’agenzia Bernabò almeno dopo aver avuto un confronto con qualcuno. Devo andare lì che ho scambiato idee, opinioni, pareri che ho masticato qualcosa delle mie riflessioni. Devo trovare qualcuno con cui condividere il mio testo. Tutto vero.
Ma chi? Stavolta faccio qualcosa che di solito non faccio. Nessun programma. Mi affido all’istinto. Totalmente all’istinto. Chiamo Patrizia.
«Ho bisogno di parlarti…»
«Va bene…»
«Oddio nemmeno di parlarti… voglio che tu leggi qualcosa che ho scritto… è una cosa intima… ci tengo molto, devi farlo subito… siamo io e patatino…»
«Va bene…»
«Cioè più che leggerla… voglio un tuo parere, scambi di opinione, se è una cosa che ti piace, se secondo te è da pubblicare, cioè se ha un senso farlo, perché? Perché farlo… devi dirmi quello che ti trasmette… se ti trasmette qualcosa… insomma…»
«Dario… va bene! Quando me la porti?»
«Stasera?»
«Ti aspetto.»
«Grazie.»
«Saluta Iole e dai un bacio a patatino.»
Vado a fare le fotocopie, saluto Iole e do un bacio a patatino.
Le fotocopie me le fanno pagare una cifra esagerata. Non mi interessa. Chiudo in una cartellina verde il clone del mio anatroccolo. Mi fa impressione. Per un momento ho un brivido nel pensare che il mio anatroccolo possa farsi coccolare dalle mani di qualcun altro. Mi ripeto che è già finito da Mariavittoria ma sento che è diverso.
Averlo mandato alla Bernabò è come averlo spedito al mattatoio. Nel portarlo a Patrizia mi sembra come di metterlo nella vita. Nella mia vita. Non so bene perché penso così. Non sono nemmeno sicuro di essere riuscito a scrivere bene cos’è che penso. Bernabò è un mattatoio, ma non è il male. Così come Patrizia è la vita, ma non è il bene.
Arrivo sotto casa. Non salgo io, scende lei. Prende la cartellina verde. Ci salutiamo con due baci sulle guance. Niente, nessuna parola. Neppure “ciao”. Come se lei sapesse di trovarne tante, troppe lì.
Il giorno dopo Patrizia mi chiama e mi dice che ha letto tutto. Ok, dico io. Fissiamo un incontro. Arrivo, in ritardo: lei è già seduta al tavolo del bar. C’è un vento strano, non freddo ma fastidioso. Lei ha preso un cappuccino. Il vento le muove i capelli da una parte all’altra. Mi sorride.
«Allora?», domando.
Si alza e mi abbraccia: «Grazie», è commossa.
È un bell’abbraccio. Le altre cose che pensa di dovermi dire le trovo annotate di fianco al testo. Non sono molte. Ma sono molto belle. Bene.
Ho appena finito di leggere il suo libro, Grazie per averlo scritto. Sono Loredana,sesta figlia di sette fratelli, sorella di Andrea, un quasi quarantacinquenne con la Sindrome di Down, ma per noi, sempre il nostro fratellino. Quando è nato Andrea, avevo sette anni e per me, è sempre stato il fratellino piccolo da curare e da proteggere, nessun problema se per camminare ci sia voluto più tempo che per gli altri bambini o se il suo linguaggio era comprensibile solo per noi della famiglia ed a volte neppure per noi…. Col passare degli anni, però, i problemi si sono presentati per l’inserimento all’asilo, poi alle scuole ed in molti altri campi … Parliamo di 40 anni fa’ …. Spero che ora sia tutto più semplice per le persone diversamente abili e per le loro famiglie, ma intanto, nel frattempo, continuo a parlare di Andrea e delle persone con la Sindrome di Down con chiunque e magari, anche se solo un poco di quello che sono e quello che sono in grado di dare, risulterà più comprensibile anche per chi non ne ha mai avuto conoscenza diretta. Grazie ancora di aver messo a disposizione di molti la vostra esperienza di vita.