29 agosto 2013, ore 4.10
L’ho riletto più di una volta. Mi piace. Forse non sono uno scrittore, ma ho scritto qualcosa che mi piace. Molto. Mi fa stare bene. Riguarda mio figlio. Ho impiegato tre giorni. Lo stesso tempo che impiega un anatroccolo ad uscire dall’uovo.
Ma la domanda resta una sola: che farne? Comincia a crescere il pericoloso desiderio di rompere l’incertezza e cercare di capire come usarlo. Usarlo per cosa? Di preciso ancora non lo so. Ci rifletto.
Tanto, un primo sollievo nel cuore: Paola e Zìzzìo sono ancora insieme, io e Iole siamo ancora insieme. I tre giorni dell’anatroccolo non sono stati distruttivi, anzi hanno avuto anche una valenza: hanno misurato i nostri livelli di tenuta. Bene.
Bello, ma non sposta di una virgola il mio dilemma. Che fare ora di questo anatroccolo? L’ho letto più e più volte. Mi piace. Ma che farne? Un progetto? Che altro so fare, io? Sì?, ma che tipo di progetto? E con chi?
Cioè, perché si scrive?