
Ingiullo mi telefona e mi ringrazia per l’ospitalità offerta a Roma. Io gli ripeto che ogni volta che ha bisogno di uno spazio per sé o per un amico a Roma deve scegliere casa mia altrimenti mi offende! Lui sorride, poi gli dico che mi ha chiamato Anna.
«Anna chi?»
«Lupanna!»
«Oddio! E come sta?»
È raro che Ingiullo si sorprenda di qualcosa, mi metto allerta.
«Perché me lo chiedi?»
«Non ti ha detto nulla?»
«Di cosa?»
«Ha la SLA».
Ingiullo non gira mai intorno alle cose, non le prepara. Mi si secca subito la bocca. Davvero è come non avessi più saliva.
«Ma come…»
«Le è stata diagnostica qualche mese fa»
«E lei?»
«Lei cosa?»
«Cosa pensa di fare?»
«Ma sai com’è Anna, non farà nulla… cioè ha detto che deve cominciare a fare le cose che desidera più velocemente, prima che qualcuno gli dica che non può farle più… e forse si sposa…»
«Si sposa?»
«Sì, con il toscano… non lo conosci, quello dei surf…»
«Come si chiama?»
«Non lo so neanch’io»
«Uhm… voglio chiamarla, conosco medici molto preparati, penso che…»
«Lascia stare Dario, lei è fatta così… lascia stare…»
Lascio stare. So perfettamente come è fatta Lupanna.
«E tu? Che fai?»
«Vado in Grecia da Panaiotis, tiene un corso sul metodo Fukuoka per la semina con le palline d’argilla».
«Bene. Allora a presto».
«A Roma».
Attacco e poi mi sento terribilmente incerto. Come non vorrei mai esserlo. Penso al modo più delicato per dirlo a Iole. Per tre anni sono state amiche inseparabili. E poi rinuncio, non esiste un modo delicato per dare certe notizie. Anche se non mi riesce ancora di credere che Anna possa bloccarsi, Lupanna è la cosa più energica e inarrestabile che abbia mai incontrato. Non riesco, proprio non riesco ad immaginarla accartocciata su una sedia a rotelle. Non ha senso.
Riprendo a lavorare. Spesso nel lavoro che scarico le mie tensioni. Rincaso dopo cena. Mi avvicino a Iole, è sul divano. Mi siedo accanto a lei.
«Cosa c’è?», domanda.
«Sono stanco», rispondo in modo automatico.
«Sì, lo vedo. Ma cosa c’è?» Non si sta venticinque anni insieme inutilmente.
«Anna…»
«Chi?»
«Lupanna…»
«Eh?»
«Ha la SLA».
«Eh?»
«Sclerosi laterale amiotrofica».
Mi guarda. Non chiede spiegazioni. Butta la testa sopra il mio petto. Ci abbracciamo. Ci stiamo un bel po’, in silenzio abbracciati. Senza tivù, senza rumori. Ripenso alle parole scambiate con Anna. Ripenso a tutte le parole scambiate con Lupanna. Rialzo la testa, fisso la luce della lampada. Scuoto Iole. «Andiamo a vedere patatino che dorme?», suggerisco. Lei annuisce.
Ce ne stiamo così, accanto al suo lettino per più di un quarto d’ora. Fermi, con patatino che ci dorme davanti. Non conosco un antidepressivo più potente e infallibile.