Iole mi chiede una mattina di libertà. Francesco non è una prigione, ma ha orari da prigioniero.
Psicomotricità, logopedia, piscina, scuola e da qualche settimana una specie di riabilitazione musicale. Un inferno, in particolare se vivi nel traffico romano. E, lo sapeva bene De André, le vere vittime nelle carceri non sono i detenuti ma i secondini. Forse esagero, ma insomma è per farvi capire che non posso dirle di no.
Improvvisare un’uscita con mio figlio però non è cosa da poco e perché vada bene si può scegliere un solo luogo: il laghetto. Santo laghetto. Francesco ama tirare i sassi nell’acqua, può starci intere ore. Non ho mai capito se mira a qualcosa in particolare o se semplicemente si contenta del rumore e dei cerchi. Più d’ogni cosa però mi sembra sia attratto dai cerchi che si amplificano lungo la superficie. Gli deve far strano quel loro ingrandirsi per poi svanire. Fa strano anche a me.
Ecco, le cose: più si fanno grandi e più perdono di intensità, si disperdono. Il tennis, gli scacchi. Se avessi iniziato a giocare a tennis un poco prima sarei stato un giocatore di interesse nazionale, mi è stato detto. Se non avessi smesso di giocare a scacchi per il tennis sarei diventato uno dei primi dieci giocatori d’Italia. Mi è stato detto.
Le cose: più l’aumenti e più le diluisci. Se vuoi ottenere il massimo non devi mai smettere di fissare lo stesso oggetto con la stessa intensità. Sempre. Vero, forse. Ma non è di una noia mortale? Cioè, c’è qualcosa su cui valga la pena posare interamente lo sguardo? C’è qualcosa a cui dare la vita? A cui dedicare tutto, senza altre distrazioni? Il tennis? Gli scacchi? Il lavoro? Cosa?
Lo chiedo a mio figlio: «C’è qualcosa di assoluto nella vita, Francesco?»
Lui mi guarda perplesso.
Insisto: «Voglio dire c’è qualcosa a cui vale la pena dedicare la vita?»
Sorprendente quanto inatteso, lui mi risponde: «I’chicco…»
Sorrido. Non può capirlo, ma è una bella risposta. Una risposta che mi piace, forse perfino l’unica vera. Cioè, per me accettabile.