
Francesco mi viene incontro. Ultimamente tengo la porta dello studio aperta. Mi sembra giusto così. Funziona meglio di quanto credessi.
Con la porta chiusa Francesco passava interi quarti d’ora a bussare e piangere e battere con qualcosa cercando di abbassare la maniglia. Una sofferenza per lui e per me. Ora entra e si limita a fare il suo giro di ispezione, cerca qualche filo sospeso da tirare. Ma non ne trova più, così mi fissa qualche momento e poi si allontana.
Stavolta però rimane più del solito, con le mani dietro la schiena osserva le lettere comporsi su Word. Cerca di mettere il suo ditino su uno dei tasti che vede premere a me.
«i’chicco ‘uona…»
«Papà non suona, scrive», lo correggo.
Per lui qualsiasi tastiera è musicale.
Cerca di arrampicarsi sulle ginocchia, fatico un poco a trattenerlo.
«i’chicco… papà… i’chicco… papà»
Vuole fare quello che fa papà. Scuoto la testa, ma poi ci ripenso. Perché no? non è anche nel suo blog che sto scrivendo? Lo prendo sulle ginocchia e libero le sue manine.
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Questo è il suo contributo. Perfetto, mi convinco che mancava. Bello, ora c’è qualcosa di “puramente” suo su questo sito. Lo rimetto giù e gli sorrido.
Cerca ancora di premere sui tasti.
«i’chicco suona…» ripete.
«Scrive, con questo si scrive Francesco, non si suona».
Mi fissa. Ha lo sguardo di sfida. Dà un colpo a mano aperta sulla tastiera violento e improvviso. Escono un paio di beep striduli dal computer, cose che non avevo mai sentito. Sorride.
«i’chicco suona…» dice per la terza volta, soddisfatto.
Mi arrendo: «Suona e scrive».
E lui – finalmente – si allontana.