È sabato e vado a presentare il mio libro a Firenze per un premio prestigioso, anche se poco pubblicizzato: il Beata Maria Cristina alla sua 36a edizione.
Sono nella cinquina finale in compagnia di Marcello Fois, Sara Rattaro, Pietro Vaghi e Vittorio Quattrocchio. Solo leggendo i nomi degli altri autori trovo meraviglioso esserci.
E scopro le tante ragioni per cui si può voler bene. Al marito di Anna voglio bene perché mi accoglie in Stazione, con un foglio grande su cui è scritto Dario Fani e con lui passeggio per quelle strade che rende tortuose (pur se il percorso dovrebbe esser diritto) e quando ci troviamo davanti l’immensità del Duomo mi fa notare tutta la massa che si avverte nell’opera del Brunelleschi. Tante volte l’avevo vista ma mai l’avevo “avvertita” in questa maniera.
Ad Anna Borgia d’Oriano voglio bene perché mi viene incontro per dirmi che ha apprezzato molto il mio libro, per le domande che mi rivolge e per la persona che intuisca lei sia.
A Laura Cecchi voglio bene per il modo dolce con cui ci dà notizie del premio che nasce nel 1963 per volontà dei Convegni di Cultura Maria Cristina di Savoia e ha lo scopo di premiare, ogni due anni, gli scrittori che, in piena libertà di espressione, si dimostrino “sensibili ai valori umani e cristiani”.
A Chiara Dino, giornalista del Corriere della Sera che scrive per la pagina Fiorentina, ma è siciliana voglio bene perché descrivendo i testi in gara riesce a dare a ognuno una nota personale e preziosa. E poi perché è concisa, brava e vivace e me la trovo di fianco e pur nella “strettoia” dei ruoli mi riesce di scambiarci opinioni e battute. Mi spiace che il tempo sia poco perché sarebbe bello conoscerla meglio.
Alla scolaresca del Liceo Michelangelo voglio bene, perché è la prima volta che mi trovo a parlare di fronte a degli studenti. E una prima volta è sempre da amare. Così come voglio bene alla studentessa coi riccioli neri e lo sguardo penetrante e curioso che si alza e rivolge la prima domanda proprio a me, mi chiede di quei tre mesi che sono stati capaci di cambiarmi la vita. Provo a darle una risposta che abbia senso e valore per la sua età, cioè anche dal suo punto di vista. Ma non so se ci riesco.
A Pietro Vaghi, voglio bene per tutta la velocità con cui fa le cose, scrive i libri, prenota i treni, sale le scale, trova il bagno e dialoga coi ragazzi! tanto che qualcuno gli chiede perfino di rallentare. È pieno di desiderio di essere propositivo e positivo con la vita degli altri e gli auguro una lunga e appassionata carriera. Che la stoffa ci sia lo capisco quando regge botta anche al severo commento di un critico in erba.
A Sara Rattaro, voglio bene perché appare disinvolta e acuta nel raccontare del suo libro e nel cogliere le sfumature e le incertezze dei pensieri di quei giovani, che si parli di facebook o separazioni e per tante altre ragioni che dirò in seguito.
Voglio bene anche al pubblico che alterna commenti, domande, risposte e proposte bizzarre. Ogni volta mi riaccende il desiderio di rendere il mondo un luogo migliore. Per una ragione precisa: perché ce lo meritiamo.
Così come voglio bene a tutti quelli che sul finale mi chiedono una dedica da mettere sul libro, lo scambio di una email o mi propongono date per presentazioni future. Voglio bene perfino alla professoressa (io che le sopportavo così poco!) che si augura che fra questi giovani ci sia un giorno il vincitore o almeno un finalista della prossima edizione del premio.
Mentre a Anna Materozzi e Maria Chiara Montini oltre a voler bene, dico grazie di cuore, perché senza il loro ostinato desiderio di insistere nel farmi venire, mi sarei perso una giornata così piena di emozioni!
Quando la cerimonia finisce e Pietro Vaghi corre a prendere il suo treno, noi andiamo a prendere un aperitivo in uno dei caffè più antichi e noti di Firenze. E trovo altre persone a cui voler bene, perché pur se non ricordo tutti i loro nomi, non mi scordo della gentilezza dei loro cuori. Voglio bene anche allo spritz che fa dire a Sara una frase che ha scritto in un libro e faccio subito mia: «per essere straordinari non è necessario essere perfetti!». Già, proprio mia. Le emozioni diventano numerose e affastellate (e non solo per via degli spritz) e sarebbero già sufficienti, ma manca ancora del tempo per salire sul treno.
Qualcuno suggerisce di andare a visitare il nuovo Museo del Duomo, è lì davanti. Io e Sara ci guardiamo e ammicchiamo, son quasi le tre e non abbiamo messo ancora niente di convincente sotto i denti… non ricordo esattamente se alla fine sono io che convinco lei o è lei che convince me ma troviamo rapidamente l’accordo: il museo può aspettare… e ci ripetiamo che è sempre cultura sperimentare la cucina locale (anche se da tutt’e due ben conosciuta), tradendo forse l’immagine che dovrebbero dare i “bravi” scrittori.
E voglio bene al cielo clemente di Firenze perché, portando una busta con un regalo segreto per mano (che spero un giorno mi venga svelato) mi permette di scoprire la trasparenza, la spontaneità, la delicatezza e quel pensiero acuto che non tradisce mai d’esser sincero (anche quando fa un po’ male) di Sara Rattaro.
Fa niente se i nostri propositi non si realizzano e finiamo con un panino preso alla Feltrinelli (in stazione), perché dentro quel panino entrano subito sapori diversi.
Neppure il caffè beviamo insieme perché da donna accorta o semplicemente da una a cui non piace (comprensibilmente) perdere i treni, guarda l’orario e fugge via. Ha un bimbo di un anno da andare a abbracciare e Genova non si sposa con l’alta velocità.
Io ho ancora un’ora e gironzolo per la libreria, incrocio un commesso: «Ti seguirò fuori dall’acqua? Vediamo… sì! Fani edito da Salani… è nell’alfabetico della narrativa. Tra Fallaci e Fante. Venga.» Lo seguo e me lo porge. Bene. «E la Rattaro?» domando. «Quale libro?» ribatte. «Splendi più che puoi.» Sorride: «Oh, sì! Sta andando molto bene, lo trova un po’ più avanti tra Queneau e Sabato».
Ma non li prendo: la borsa è già piena di tante, troppe cose e anche il cuore e mi domando se mi riuscirà di masticarle, digerirle e perfino raccontarle tutte queste emozioni.
Alla fine è quasi tardi quando corro al tabellone luminoso e mi sembra strano che non ci sia ancora il mio treno. Ma non c’è. Poi capisco che lo trovo più facilmente se guardo sul tabellone delle partenze invece che degli arrivi. E infatti lì lo trovo. Binario otto. Bene, otto è il numero dell’infinito.
E mentre mi avvio verso il binario mi convinco che certi giorni son fatti per farti amare la vita nella maniera in cui va amata, anche se Chicco non è con te.
Grazie di Cuore a tutti gli organizzatori di questa presentazione Fiorentina e agli organizzatori del Premio. Ci si rivede il 12 maggio 2016, alle ore 18,00 presso Palazzo Barberini, a Roma, per sapere chi ha vinto. Siete tutti invitati!
Ah!, la foto non sarà straordinaria ma è l’unica che avevo e resto nell’attesa fiduciosa che mi arrivino le altre… anche se a questa, beh l’avete capito: le voglio bene.
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Per informazioni dettagliate sul premio:
Convegni di Cultura Maria Cristina di Savoia