
Francesco ha cambiato logopedista. Daniela è solare e simpatica ma mi sembra troppo giovane per essere brava. Laura – di cui mi fido – mi rincuora. Mi dice che a dispetto dell’età ha grandi competenze e qualità. È fra le migliori che potessero capitare.
Alla fine dell’incontro però cerco di capire meglio. Francesco ha cominciato a fare strani gesti mentre cercava di esprimere le sue parole, per dire mamma si batte un pugno sulla guancia e quando pronuncia «Papà la’oro» fa il segno delle manette, per dire rosso si passa un pollice sul viso.
Indago. Daniela utilizza la Lis. Ossia parla con Francesco con il linguaggio dei segni. Chiedo chiarimenti. La ragazza ventiduenne mi dà una spiegazione che sul momento mi appare convincente. La neocorteccia lavora in maniera simbolica attraverso qualsiasi forma di linguaggio, il segno è più immediato della parola e l’esercizio sfrutta i due canali visivo-cinestetico e orale. Questo dovrebbe dare maggiore rapidità nello sviluppo e soprattutto nella capacità d’uso del linguaggio.
Francesco semplicemente imparerà ad usare due modalità espressive. È convincente, ma non mi convince – non del tutto. Immagino scaturisca una certa diffidenza fra gli altri bambini nel parlare con un bimbo – mio figlio – che agita i pugnetti per dire mamma e indica i colori con i gesti. La prima che chiamo è Anna Scala, la neuropsichiatra della associazione AIPD. Anche lei è perplessa. È qualcosa che si usa da qualche anno, ma non ha basi scientifiche. Al momento sospendo il giudizio. Prendiamoci che è solare e simpatica.
Rientro in casa e ne parlo a Iole. Gli dico le mie perplessità. Le liquida malamente. L’accusa è semplice: parli di cose che non sai. Il sottotesto anche: ti stai occupando così poco di tuo figlio ultimamente, non sperare che lo faccia io per te! Bene, mi rincuora solo l’idea che se fossi arrivato entusiasta della logopedia con la Lis, avrebbe reagito più o meno alla stessa maniera. Voglio dire il suo non è un giudizio negativo sul metodo, ma su me. Mi chiudo in studio e cerco di scrivere qualcosa. Queste cose qui.
In serata chiamo ancora Anna Scala. Ma non mi dice nulla di più di quel che mi ha detto la mattina. Eppure non mi piace vedere Francesco usare segni strani invece di parole. Sembra diventato un sioux. Allora chiamo anche Cosetta. Cara amica, esperta logopedista e cantante in un coro.
«Che posso dirti Dario… è una cosa che va molto di moda. Ne sento tante oggi. Io sono una strana, lo sai. Faccio tutte cose mie. Francesco non mi sembra ne abbia necessità. Vero è che la neocorteccia è sollecitata e questo va bene…»
«Sì, ma…»
«Eh, ho capito. Ti fa i segni strani… vero?»
Mi piace Cosetta perché mi capisce davvero.
«E dunque? Che facciamo?»
«E che vogliamo fare? Io direi aspettiamo un po’ Dario… vediamo…»
Resto in silenzio, lei continua: «Il metodo non conta, non tanto… conta la persona, la relazione… il modo in cui lei entra in relazione con tuo figlio, aspettiamo…»
«Ma ne fa tanti…»
«Di cosa?»
«Di segni…»
«Ma dai! … è la novità, Francesco è un curiosone – tutti i bambini lo sono – e poi lo sai, gli piace sbalordire… è pagliaccetto, aspettiamo… vediamo che succede, può essere interessante capire come reagiscono gli amichetti, le maestre e anche voi genitori… è interessante… da sperimentare…»
Non mi piace che possa essere interessante sperimentare qualcosa con mio figlio. Non lo dico.
Lei dopo una piccola pausa, riprende: «Il resto come va? Con Iole?»
«Va…»
«Uhm, facciamo che… eh?»
«Sì, ho capito… grazie e buonanotte».
«Buonanotte».
Forse ho pure capito, ma non è che so veramente fare che… eh? Non con Iole, non in questo periodo. Aspettiamo.