Francesco mi guarda, ora ha un tablet. Gli piace perché è colorato, gli piace perché può vedere le puntate dei paw patrol come e quando vuole. Ma soprattutto gli piace perché anche il suo papà ha un tablet.
Ha visto che io lo uso adoperando un pennino e anche lui lo vuole. Bene, Laura la fisioterapista è contenta, l’aiuterà a sviluppare meglio il suo attuale “disordinato” grafismo. Anche per me il tablet è stato motivo di efficienza e novità. Tante novità.
Quelli che mi conoscono bene, ma non mi frequentano da un po’ potrebbero perfino non crederci, ma sul mio tablet ultimamente è finita una app con sopra i quattro vangeli. E quando posso, cioè quando ho un poco di tempo leggo dei brani da lì. Deluderò molti: ma li trovo di una ricchezza incredibile.
Chi ama la semiotica non può non innamorarsene. Ma anche chi è interessato all’uomo. Da qualche giorno c’è un brano di Marco (Mc 5, 24-33) che non mi abbandona, mi nuota continuamente nella testa direbbe una mia cara amica tedesca. Ogni volta che lo rileggo sento che qualcosa mi sfugge. O meglio, molto di quel che vi trovo scritto mi rimane stonato. Poco comprensibile.
Riguarda una donna malata da anni, che – approfittando della folla numerosa che assale Gesù – tocca il suo mantello e guarisce. Quel che mi stona è la reazione di Gesù. Sembra quasi irritato da quel gesto. Prima interroga i suoi discepoli chiedendo «Chi è stato?» e loro sorpresi rispondono «Tu vedi la folla che ti si stringe attorno e ci chiedi: Chi mi ha toccato?», e poi lo chiede alla folla stessa. «Chi ha toccato il mantello?». Insiste finché la donna impaurita e tremante, gli si getta ai piedi e gli dice tutta la verità.
Perché lo fa? A cosa è dovuta l’insistenza di Gesù nel voler identificare l’autrice di quel gesto? Non è forse lui il primo a chiedere di donarsi senza che la mano sinistra sappia ciò che fa la destra? Leggo e rifletto ma non ne vengo a capo.
È sorprendente anche scoprire come, al di là dello scetticismo dei suoi discepoli, attraverso la sola tecnica dello sguardo e del silenzio Gesù riesca ad ottenere ciò che desidera da quella che si presenta come un’anonima folla: una confessione sincera.
Ma questo non risolve il mio quesito iniziale, perché Gesù desidera che quella donna si riveli? Cosa ci vuole insegnare? Perché vuole che la gente sappia del miracolo che si è compiuto? Queste sono le domande a cui cerco una risposta.
Francesco si stacca dal suo tablet. Mi si fa incontro. Si stringe al mio collo. «Ti voglio bene papà», mi dice. Sorrido. «Anche papà ti vuole bene», gli rispondo. In verità è una frase che mio figlio ha imparato da poco e gli piace ripeterla. Ha capito che da tanto piacere a chi la riceve. E credo la usi quando intuisce che qualcuno è in difficoltà, anche se si tratta di piccole difficoltà.
Mio figlio è un grande osservatore dell’animo umano. Eppure stavolta ottiene qualcosa di più di riempirmi semplicemente di gioia: mi illumina. Perché mentre lui torna ai suoi giochi in me nasce il principio di una risposta.
Non so come accade ma le sue parole di amore aperto e dichiarato mi fanno tornare subito in mente una storiella contenuta in un prezioso libricino letto qualche anno prima: 101 storie Zen. È la vicenda di un monaco e di una monaca e grossomodo recita così.
Venti monaci e una monaca, che si chiamava Eshun, facevano esercizio di meditazione con un certo maestro di Zen. Nonostante la sua testa rapata e il suo abito dimesso, Eshun era molto carina. Diversi monaci si innamorarono segretamente di lei. Uno di questi le scrisse una lettera d’amore, insistendo per vederla da sola. Eshun non rispose. Il giorno dopo il maestro fece lezione ai suoi discepoli, e alla fine della conferenza Eshun si alzò e disse: «Se veramente mi ami tanto, vieni qui e prendimi subito tra le tue braccia».
Non so spiegare con esattezza il motivo per cui le parole di mio figlio mi riportino alla memoria questa storiella e ancor meno riesco a spiegarmi la maniera in cui il ricordo di questa storia mi renda chiaro l’intento di Gesù: ma è quel che accade. Improvvisamente tutto si chiarisce. Gesù è interessato a svelare a tutti l’identità di chi ha toccato la veste. Per svelarci un segreto. Lo stesso della monaca.
Non avere timore di dichiarare la tua fede, il tuo amore. Non agire di nascosto. Rivelati. Ci dice che non ha senso muoversi alle spalle dell’amore, non serve mescolarsi tra la folla. Quando si ama non sono necessarie strategie particolari. In amore non c’è spazio per omissioni: ogni gesto, ogni istante richiede profondità e sincerità. Trasparenza. Quando ami, ama apertamente. Ecco cosa vuole dirci Gesù.
Sospiro. Sento un profondo gusto di pienezza spandersi nel corpo (in fondo sono ancora uno sciocco concentrato di vanità. Cioè sono uno che quando arriva a capire qualcosa – neanche per merito proprio – si sente importante).
Guardo mio figlio, è di nuovo con gli occhi sul suo tablet. Lo fisso, fisso il suo dito che incerto si muove sopra lo schermo. Non gli riesce a far partire un video. Si spazientisce. Ha ragione, dovrebbe essere un gesto semplice: lo è. Non per lui. La pienezza diventa incertezza.
Come potrò un giorno farci questi ragionamenti, spiegargli le mie idee? Un velo di tristezza mi sfiora il cuore. Lui non stacca gli occhi dal video. Finalmente lo schermo si accende. Entra Iole, la guardo, ha già l’indice alzato. «Piccoletto, è l’ultimo cartone e poi a letto! Hai capito?»
Sguardo e voce severa, credibile. Lui la fissa, ha solo un momento di incertezza. Poi posa il tablet sul divano, le va incontro e le butta le braccia al collo. «Ti voglio bene, mamma!». Replica gioioso. Senza paura, senza recriminazioni. Iole guarda me – come in cerca di un assenso – e poi lui. «Va bene, ne puoi vedere un altro, ma uno soltanto».
Sorrido. Torno a guardare Francesco. Ha ripreso il suo tablet. Molta serenità si deposita dentro di me, forse tutta quella che in questo periodo in casa sfugge. È stata una apparizione fugace, ma non inutile quella di Iole.
Di più. È la risposta a tutti i miei contorti dubbi. Mi sento uno sciocco. Perché mi accorgo che continuo a non capire ciò che è ovvio. Non ci sarà nulla da spiegare a mio figlio. Nessun ragionamento da fare sul modo in cui occorre amare.
Queste sono le cose che mio figlio sa già.