Ci sono giorni che vorresti finissero subito perché ti senti a terra, sei influenzato, stanco, ti attende una settimana di lavoro forsennato (domenica inclusa) e fai una fatica enorme a mettere un’idea dietro l’altra mentre circa cento occhi ti osservano incerti. Occhi curiosi e attenti, venuti da ogni parte d’Italia, Milano, Monza, Belluno, Taranto, per dire… occhi che si aspettano (giustamente) molto da te ma tu sai che non hai molto da dare.
Sono giorni che vorresti finissero subito anche perché il fotografo incaricato per la cerimonia ha avuto un “imprevisto!” che lo ha spedito a New York, il tecnico si è dato influenzato, il grafico non è venuto e quel caro amico che ti aveva assicurato “Non preoccuparti per sabato, penserò a tutto io!” due giorni prima è partito per Gaeta e tu ti sei trovato a girare in gran fretta per Roma (che non è proprio la città più semplice del mondo da attraversare) per recuperare cartelloni, borse, computer, buste di libri, attestati, cartoline, presentazioni e locandine.
E vorresti finissero subito perché ti accorgi che fra presidente e rappresentante della giuria sta nascendo una querelle sul fatto di mantenere o meno un ex-aequo e dunque temi di iniziare la cerimonia di premiazione senza sapere ancora esattamente chi sono i premiati (!). E vorresti finissero subito perché sono le undici e un quarto, si iniziava alle undici, e tuo figlio non è ancora arrivato. Insomma ti sembra sia tutto pronto per avviarti a un dolce disastro.
Ma poi vedi che tua cugina Anita a cui hai dato il compito di mettere a proprio agio le persone, in un modo o nell’altro ci sta riuscendo. Giandaniele Pasquali, che era passato solo per un saluto, vedendoti incerto si fa avanti, a suo modo, brontolando un po’ per questo e per quello, afferra la macchina fotografica e ti dice che farà lui le foto (ed è un bravo fotografo).
Rino Bianchi e Alessandro Censi Buffarini vanno trovando un’intesa sull’idea di mantenere il primo premio come ex-aequo. Stefano Onnis da straordinario padrone di casa qual è, si candida anche per fare il tecnico, sistemare il proiettore e manovrare il pc e piano piano tu ti rilassi.
E quei cento occhi ti fanno meno paura, perché ti convinci che devono appartenere per forza a belle persone, in fondo sono gli occhi di chi ha scattato le foto toccanti e intense che ti sono intorno. Sapranno perdonare qualche incertezza. Pensi che si potrebbe fare una prova microfono e iniziare. Serve solo una scusa per rompere il ghiaccio.
E Flavia, la figlia di Stefano Ebner, una bimba di sei anni con un cromosoma in più e un intuito straordinario (non fosse per il semplice fatto che mi chiama “Dario bello”) si avvicina, prende il microfono e annuncia a tutti che andrà in Francia insieme a sua zia Alessia. Qualcuno ride, qualcuno applaude. E tu capisci che il ghiaccio è rotto.
Così inizi ringraziando Stefano Onnis per aver immaginato e realizzato la Casa Museo e Rino Bianchi per l’impegno che ha messo (gratuitamente) nel seguire tutta l’iniziativa e poi si discute con semplicità di coscienza, verità, recupero della memoria, di realizzazione del disabile, più che di inclusione. Rino Bianchi si conferma quella bella persona che avevi immaginato fosse mentre degli altri già lo sapevi. E allora lentamente, senza quasi che te ne accorgi, la tua idea comincia a cambiare.
Ti prende la curiosità di dare voce a quei cento occhi che ti guardano. Li chiami a uno a uno a commentare le foto come ti avevano suggerito di non fare (perché non si sa mai) e invece a uno a uno si svelano in tutta la loro ricchezza e profondità. Voci sincere, che raccontano tante cose che davvero ti spiace di non essere in forma per poter coglierle tutte nel modo adeguato.
Stefania Pirpani spiega la sua idea e il modo in cui ha desiderato raffigurare quel “conoscersi”. Giulia Papa conferma quanto ci si arricchisce quando si sanno usare punti di vista inattesi. Sabrina Piezzi, in nome di suo figlio Davide Fauci e con la complicità di sua figlia Arianna, ci rende partecipi di un pezzo importante della sua vita e ci ricorda che alla base di ogni crescita c’è la relazione o per dirla in un modo diverso che l’essere umano cresce, solo se cresce nell’amore.
Cristina Ciciarelli si presenta con una pancia che non c’è più svelandoci che il wating… era solo fotografico. Lucia Ruggero spiega come e perché si è messa non nella camicia, ma nel camice del papà e l’ha fatto in un modo delicatissimo. Massimo Della Giovampaola (che era il mio preferito) rivela l’aggeggio tutto strano che ha inventato per poter scattare quella foto che lo ritrae mentre insegue in bici suo figlio che “fugge”.
E poi finalmente capisci il mondo che gira nella testa di Cristina Allacciati (che tanto ti aveva incuriosito) dove gli animali sono tutti diversi ma si “includono” uno con l’altro vestendosi dell’identico colore. Che tenerezza!
Giovanna Scatena racconta, come solo una Signora delle Fate sa fare, l’esperienza edificante di una ragazza, timida, chiusa e introversa che camminava gobba e che uno stage e tanto impegno trasformano in un’impiegata efficiente e talvolta perfino boriosa dal Comune di Roma per meriti e capacità, e allora è un dettaglio il fatto che abbia anche un cromosoma in più. Cioè ti senti partecipe di una storia di inclusione a prova di “sguardo comune”.
E quando Martina Grando, commenta la sua foto, ti stupisci che tutta quella complessità che tu avevi immaginato in quello scatto era proprio anche lì, nel suo pensiero! Chiara Ceschini, che tanto ti aveva emozionato con il suo disegno, ti fa notare anche quel piccolo cerotto capace di riparare la spaccatura del vetro che a te era sfuggito e ti stupisce per quelle parole che rivelano una maturità e una attenzione che non pensavi possibile in quegli occhi di bimba.
Gilberto Mancini arriva e ti regala non uno, ma due ombrelli per proteggerti dai mali del mondo, mentre allo stesso tempo ti fa piovere sulla testa un’infinita dolcezza di parole che quasi ti imbarazzano, per quanto le avverti sincere. Tatiana Muro non viene ma manda un delegato che racconta in tutta sincerità che lui non sa nulla del libro, non sa nulla del premio e non sa nulla neppure di fotografia o disabilità, ma si dichiara entusiasta e la ringrazia di averlo catapultato in un mondo così denso e ricco di sguardi e di storie.
E la tua idea iniziale si ribalta, ti sembra ora che sia uno di quei giorni che non dovrebbe finire mai. Perché poi ci sono anche i premi da dare. Domenico Cippitelli con i suoi magici piedini vince un terzo posto, e ti porta i saluti di una collega di tempi lontani e ti svela che a scattare la foto vincente è stato suo figlio. Elena Lattanzi vince un secondo premio e pur non essendoci scrive parole che fanno emozionare. Mentre il primo posto (ex-aequo) si divide fra Giulia Pasqualin e Nicole Bergamaschi.
Giulia Pasqualin ti porta la gioia di sua Zia per la foto pubblicata sul blog e per quanto semplici, sono parole che ti scaldano il cuore; che c’è di più bello che regalare una gioia a una Zia chissà quanto lontana? E infine discorrendo con Nicole Bergamaschi ti accorgi che se non aveva fatto – secondo te – la foto più bella del concorso, per certo è lei una bella persona!
A soli 24 anni ha la straordinaria capacità di parlarti del Vangelo, illuminandoti di una luce nuova un brano di solito trascurato e trova la pazienza, il desiderio (e da una parte forse anche la fortuna) di passare il resto del pomeriggio con tua cugina Anita. Bene, speri solo che non perda il treno. Ammiri la sua dolcezza quando svela a Iole che (pur se ha vinto la metà) manterrà la promessa fatta al suo paziente fratellino e gli comprerà quelle “cose lì del lego”.
Quando poi dal pubblico qualcuno si fa avanti per recitare una poesia d’amore di Prévert volendola dedicare a mamma Iole, che di poesia e d’amore una donna (l’essere umano) ha sempre bisogno, senti che sei davvero sul bel finale. E allora ben vengano gli assaggi di focaccia e pita e panzanella romana e vino e birra e succhi biologici tutti forniti dai “ragazzi” della Casa Museo, perché mentre li gusti ti appropri di altri piccoli dialoghi, di altri “pezzettini di vita”, come dice Alessandro Censi Buffarini (che sornione sta sempre più diventando tuo importante compagno di viaggio) che ti danno ulteriore ricchezza e energia.
Stefano Onnis (da autore a autore) ti regala un Cd dal titolo che è tutto un programma “Disabilié – canti di lavoro e di amore precario” (andate a cercarlo e divulgatelo un po’ ovunque) mentre Emanuele ti prepara un caffè macchiato, il più lento e sospirato e quindi forse anche il più buono, che ti sia mai capitato di bere e tuo figlio Francesco scambia coccole e scherzi con Lucia sopra il divano. Sì. ti appare tutto troppo riuscito e bello.
Quando Rino Bianchi con estrema sincerità ti ringrazia per primo perché ha stretto un’intesa con Onnis per realizzare un progetto ampio sulla narrazione e la memoria (ed è un’occasione che in qualche maniera hai contribuito a creare – anche così malmesso e stanco – e ne vai orgoglioso) e ti dice che va via arricchito, di spunti, di pensieri, di vita e di umanità davvero ti sorprendi delle tue iniziali paure. Di quella voglia che avevi che tutto finisse presto. Ti eri dimenticato di una semplice verità: le cose possono funzionare (alla grande!), anche quando tu non funzioni bene. Che meraviglia! Che leggerezza!
E in macchina, sulla via del ritorno, nel traffico romano, un po’ preoccupato per Nicole (avrà preso il suo treno?) sei definitivamente convinto che certi giorni – come questi – non dovrebbero finire mai, ma sai che non è possibile: anche le giornate belle devono finire perché solo così ne possono iniziare altre che gli assomiglino.
C’è però una cosa importante che non bisogna mai dimenticare di fare, quando una giornata bella che non dovrebbe finire mai va a finire… ringraziare tutti quelli (voi) che l’hanno resa possibile (me compreso).
Già, Grazie!